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Manuali di declamazione nella prima metà dell'Ottocento

A cura di Stefania Stefanelli
Con la collaborazione di di Andrea Ficini, Silvia Moretti, Claudio Brunetti


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Nel quadro di una storia della cultura e della lingua nell'Italia della prima metà dell'Ottocento, la produzione di una manualistica dedicata alla declamazione riveste un ruolo specifico e fondante di una nuova cultura. Si tratta di un fenomeno quantitativamente significativo – dunque non dovuto all'iniziativa personale di un singolo attore suggestionato dalla propria arte – e implicitamente o esplicitamente orientato all'educazione di diverse figure pubbliche: l'attore, in primo luogo, ma anche l'oratore forense, politico o religioso. Non è una novità in senso assoluto: le radici di questa letteratura risiedono nella retorica classica di Cicerone e soprattutto di Quintiliano, che ne trattano in quella parte della elaborazione della materia del discorso che è la pronuntiatio. In epoca moderna, la trattatistica sull’arte rappresentativa risale al Cinquecento con le opere di Leone de’ Sommi e Angelo Ingegneri e al tardo Seicento con Andrea Perrucci. Tuttavia, la novità dei manuali di declamazione scritti in Italia nella prima metà dell'Ottocento è dovuta all'affermarsi, nel corso del Settecento, della figura del grande attore, spesso visto come ambasciatore della propria cultura e lingua nazionale nel mondo. Ma soprattutto, era l'idea complessiva del teatro che stava profondamente cambiando nell’intera Europa, grazie anche a opere come la Drammaturgia di Amburgo di Gotthold Ephraim Lessing e il Paradosso sull'attore di Denis Diderot.


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